MA IL METANO TI DÀ UNA MANO?

Vi sveliamo il perché la storia non è limpida

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +1 Like   Dislike
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Gestore
    Posts
    6,183
    Reputazione
    +8
    Location
    vicenza, veneto

    Status
    Anonymous

    MA IL METANO TI DÀ UNA MANO?
    Vi sveliamo il perché la storia non è limpida



    Quando, nel 1983, venne firmato con l’Algeria un controverso trattato per la fornitura di gas naturale (cioè metano con tracce di butano e di propano), gran parte degli esperti di politica energetica gridò allo scandalo: il prezzo pagato era incredibilmente elevato e fuori mercato. La classe politica invece rimase imbelle e muta, coprendo quello che in realtà era una pesantissima ipoteca sul futuro della nostra bolletta energetica e,soprattutto, sul costo del riscaldamento delle nostre case. Accadde, infatti, che il prezzo pagato dalla Snam per gli 8 miliardi di metri cubi annui, previsti dal contratto, fosse così esorbitante che tre anni dopo il Parlamento dovette approvare un’elargizione straordinaria di 590 miliardi di lire, per coprire il buco di bilancio della Snam. Ma accadde anche che i partiti responsabili di quella disastrosa fornitura dovettero cercare in fretta nuove strade per impiegare il metano acquistato, diversamente l’Italia avrebbe dovuto sborsare pesanti penali.

    Quando il gasolio costava la metà

    La prima mossa fu quella di rialzare il prezzo del gasolio per autotrazione, allora quasi senza tasse, giacché costava la metà della benzina. Poi, con un blitz che i più anziani ancora ricordano, il prezzo del gasolio da riscaldamento venne equiparato a quello del gasolio per autotrazione. E, contemporaneamente, vennero proibite le alternative costituite da olio combustibile ad alto e a basso tenore di zolfo, quello che volgarmente si chiamava nafta. Così in un colpo solo il costo del riscaldamento divenne il più caro d’Europa, senza alternative. Ma la vera apoteosi del metano giunse pochi mesi dopo – siamo nel 1986 – quando la rete di distribuzione del gas cominciò a diffondersi capillarmente. La pubblicità recitava “il metano ti dà una mano”. In realtà, il prezzo altissimo del gasolio aveva creato uno spazio concorrenziale al metano, e la campagna ambientalista aveva giocato una partita facile e truccata. Morale, il metano da riscaldamento, ancor oggi, costa esattamente come il gasolio da riscaldamento, ed entrambi costano il doppio che in ogni altro Paese europeo. “Il metano ti dà una mano... a spendere il doppio” piangevano, infatti, i consumatori.


    Mattei e la potente benzina italiana

    Facciamo ora un passo indietro, fino agli anni Cinquanta. Alla fine della Seconda Guerra, Enrico Mattei, fondatore dell’ENI nel 1953 (Ente Nazionale Idrocarburi), riceve dal governo l’incarico di liquidare l’AGIP, l’agenzia petrolifera italiana fondata da Mussolini nel 1926. Ma non lo fece, anzi la rilanciò, inventando nel 1952 il cane a sei zampe (simbolo che ora è stato attribuito alla capogruppo Eni, dopo aver seppellito nel 2011 il marchio Agip). E si mise a cercare petrolio sul suolo nazionale. Ne trovò un po’ in Abruzzo, vicino a Torre de’ Passeri, poi perforò la pianura padana, a Cortemaggiore, sicuro di trovarne in abbondanza.

    Tanto che anticipatamente, prima ancora di veder zampillare una goccia di petrolio, battezzò “SuperCortemaggiore, la potente benzina italiana” quella che in realtà era benzina ricavata da petrolio importato. A Cortemaggiore, invece, venne fuori metano. In discreta quantità, ma non avendo alcuna rete di metanodotti per distribuirlo venne parcheggiato nel sottosuolo della pianura per costituire una delle riserve strategiche del Paese. Poi venne chiesto ai politici come impiegarlo, in attesa di mettere in cantiere la costruzione di un metanodotto verso la Lombardia. La soluzione, quasi insignificante dal punto di vista energetico, fu di spingerne l’uso come carburante per auto. Nacquero così in Emilia e Romagna i primi produttori di impianti a gas e i primi distributori. I politici locali, di ogni tendenza, si innamorarono del nuovo combustibile autarchico, e ne spinsero l’impiego automobilistico in ogni modo, fino a detassarlo totalmente.

    Condizione di favore che sopravvive tuttora, giustificata anche con la minor potenza del motore, col peso delle bombole e con una migliore combustione dal punto di vista ambientatale. Oggi, con l’avvento della marmitta catalitica, tale vantaggio è diventato insignificante, mentre rimane lo svantaggio del peso da portare appresso. Infine, con la sovralimentazione è scomparsa la perdita di potenza dovuta al notevole spazio che il gas occupa in camera di combustione: spazio che provoca una riduzione virtuale della cilindrata, una sorta di downsizing artificiale, perché sottrae ossigeno alla miscela. In definitiva rimane intatto il gigantesco vantaggio di un prezzo quasi esente da accise. Tanto per capirci, il metano usato in casa per cucinare viene venduto a oltre 1,20 euro al m3. Quello per autotrazione costa 0,95 euro al kg.

    Per comparare i due prezzi bisogna leggere quanta energia contengono: si scopre così che con meno di 1 euro, alla pompa, si comprano 50 megaJoule di energia, mentre quando lo usiamo per cucinare spendiamo 1,20 euro al m3, e compriamo solo 36 mJ di calore. Come dire che lo paghiamo il 66% in più. Ma se facciamo il rapporto con la benzina, le cose vanno ancor meglio per il metano da autotrazione. Infatti, 1 kg di benzina contiene 42,7 mJ di energia, ma 1 litro ne possiede solo 31,2 (pari al 73% di tale energia). Vale a dire che – ai prezzi attuali - con 2 euro compriamo 1 litro di benzina (ovvero 31,2 megaJoule), mentre con la stessa spesa acquistiamo oltre 2 kg di metano, corrispondenti a oltre 100 mJ.

    Il motore è nato a gas

    Il gas esiste da prima dell’automobile, anzi i primi motori sono nati a gas, che era l’unico combustibile, nell’Ottocento, distribuito in una rete urbana, per illuminare le città. Ma erano gruppi stazionari, cioè impiegati per muovere macchine utensili, e, quando si pensò di montarli su un veicolo semovente, il gas venne abbandonato per mille motivi. I più importanti dei quali erano che un combustibile liquido (come la benzina o il gasolio) è semplice trasportarlo, contiene più energia (sia in volume sia in peso), sviluppa più potenza, non deve venir compresso, è meno pericoloso...

    La circostanza è confermata dal fatto che nessuna Casa ha mai lanciato modelli di auto progettati esclusivamente per l’impiego di metano. Si tratta sempre di trasformazioni di motori e di modelli nati per l’alimentazione a benzina (in qualche raro caso, anche a gasolio). Se si eccettua qualche temporanea applicazione in Olanda e in Germania (e, oltreoceano, in California e in Australia), l’impiego del metano per autotrazione è un fenomeno tipicamente italiano, nato per una sorta di innamoramento della classe politica nostrana,che risale ai tempi di Mattei, e alimentato dalla convenienza economica per l’utente. Vediamolo però dal punto di vista del motore.

    Metti il metano nel tuo propulsore

    Se non c’è il turbo, la potenza del motore alimentato a metano cala del 14%. Semplice comprenderlo, basta ricordare che il rapporto fra il peso di aria (comburente) e quello del combustibile è un valore fisso, e vale circa 15:1. Quindi in una determinata cilindrata non si può introdurre più di una certa quantità di gas o di benzina perché mancherebbe l’ossigeno per una combustione completa. L’unico sistema per recuperare questa riduzione artificiale della cilindrata è la sovralimentazione, perché introduce nel cilindro aria compressa e consente di bruciare maggior quantità di metano.

    Ma con qualche problema di temperatura e di usura delle valvole. Si potrebbe anche recuperare potenza sfruttando il fatto che il metano ha numero d’ottano pari a 120, quindi accetterebbe rapporti di compressione molto elevati, ma questo non si concilia poi con l’alimentazione a benzina. Le Case traggono notevole vantaggio dall’adozione di combustibili alternativi. Infatti, qualunque alimentazione bifuel consente di dichiarare consumi, e soprattutto emissioni di CO2, molto inferiori a quelle ottenute con l’alimentazione originale. Innanzitutto perché alimentare a gas equivale a montare un motore più piccolo, anche se è presente un turbo. Se poi aggiungiamo che il metano contiene meno atomi di carbonio nella molecola (il 12% in meno sia della benzina, sia del gasolio), sveliamo un secondo motivo. Se, infine, andiamo a leggere i regolamenti delle direttive europee, scopriamo che le Case che vendono automobili a gas vengono premiate con una sorta di ulteriore abbuono sui valori della CO2 emessa.


    Pro e contro

    Per onestà intellettuale dobbiamo, però, valutare il rovescio della medaglia, ovvero l’energia spesa per comprimere il metano e immetterlo nelle bombole. Questo processo assorbe una quantità di energia, nominalmente pari all’8% di quella contenuta nel metano trattato, ma poiché si usa energia pregiata (energia elettrica) per alimentare i compressori e i refrigeratori, il suo costo energetico è di gran lunga maggiore. Di fatto, il metano si rimangia interamente la promessa ribadita nella pubblicità di emettere il 23% in meno di CO2 (percentuale che nasconde anche la riduzione virtuale della cilindrata) e questo appanna l’aureola di santità che facili ecologisti gli avevano attribuito. Un sano conteggio sugli impieghi più opportuni delle risorse del Pianeta suggerirebbe di usare il metano ove non occorre comprimerlo e raffreddarlo, cioè nelle case e nelle industrie. Il metano è il più leggero fra gli idrocarburi, ed è anche più leggero dell’aria.

    Per questo sale subito in alto ed è meno pericoloso del GPL, che invece e più pesante e si raccoglie in basso. Per trasportare il metano si deve comprimerlo a oltre 220 bar e raccoglierlo in bombole alquanto resistenti e pesanti. Nelle navi metaniere, invece, viene liquefatto dopo averlo compresso a 240 bar e raffreddato fino a – 163°C (con un costo energetico tutt’altro che trascurabile). Il metano si accende solo quando è sottoposto a temperature superiori a 500° C, mentre il GPL si accende a temperature attorno ai 400° C e la benzina a valori ancora più bassi (360° C). In altre parole: la benzina si accende più facilmente, e per questo non sopporta rapporti di compressione superiori a 10:1, perché può detonare con conseguente rottura di un pistone. Il metano ha bisogno di scintille più intense, ma sopporta rapporti di compressione anche di 12:1, senza battere in testa. Durante la combustione il metano sviluppa temperature più elevate, perché non provoca nel cilindro quel raffreddamento temporaneo che i combustibili liquidi, come gasolio e benzina, offrono quando vaporizzano. Inoltre, essendo privo di piombo e di zolfo, non fornisce alcun effetto lubrificante alle sedi valvola e viene pure a mancare la benefica azione antiattrito che tali elementi - pur presenti in tracce nella benzina e nel gasolio - esercitano sulle parti metalliche del motore. Pertanto, pistone, valvole e fasce elastiche sono sottoposti a stress termici maggiori di quelli provocati dalla benzina. Per questo il gioco delle valvole deve essere maggiore e va controllato spesso, pena la bruciatura delle sedi valvole.

    L’olio dura il doppio

    Anche le candele per il metano devono essere più “fredde” rispetto a quelle originali per la benzina. Oggi, con elettrodi di palladio a lunga durata, si impiegano comunemente candele a gradazione termica molto estesa, capaci di soddisfare le esigenze sia del metano sia della benzina. Normalmente i progettisti rinforzano la resistenza delle valvole di scarico, ma spesso trascurano quelle di aspirazione, e non sono pochi i modelli di auto che, nella trasformazione a metano, ne hanno fatto le spese. Il difetto diventa palese quando la messa in moto si fa difficoltosa, perché il motore perde compressione in qualche cilindro. Per contro, il metano non inquina e non diluisce l’olio della coppa durante gli avviamenti a freddo, come fanno benzina e gasolio. Quindi si può tranquillamente raddoppiare l’intervallo di cambio del lubrificante, portandolo a 40.000 km.

    Un buco nel fisco per dieci anni

    Di metano, ce n’è quanto se ne vuole, nel senso che le riserve note sono maggiori di quelle del petrolio greggio. Come dicevamo, il Fisco italiano ha rinunciato – quasi del tutto - a tassare il metano per autotrazione. Per intenderci, raffrontata all’energia contenuta in un litro di benzina, la tassa si limita a circa 6 centesimi, 12 volte meno di quella della benzina e 10 volte meno del gasolio. Assurdamente, il metano usato per il funzionamento delle cucine domestiche, in campagna e in montagna, nonché per il riscaldamento a metano in città, viene tassato esattamente come il gasolio da riscaldamento (o quello da autotrazione),ovvero al livello massimo.

    L’automobilista fa bene a optare per il gas: costa meno della metà rispetto alla benzina, offre quasi le stesse prestazioni, l’investimento iniziale è azzerato dagli incentivi, disagi (difficoltà e tempi di rifornimento, capacità trasporto bagagli ridotta) sono tutto sommato accettabili, i sindaci offrono il lasciapassare per i centri storici e per circolare nei giorni e nelle zone vietate ai comuni mortali, perché rinunciare? Altrettanto bene fanno le Case che sfruttano incentivi economici e abbuoni sulla CO2 per vendere e pubblicizzare le virtù del metano. Però navighiamo tutti sulla stessa barca: un minimo di rotta comune dobbiamo pur condividerla. Siamo consapevoli del fatto che ogni auto a metano venduta sul mercato non verserà più all’Erario l’accisa di 1 euro al litro che gli altri pagano su benzina e gasolio? E che questa esenzione durerà per tutta la vita della vettura, diciamo 10 anni? E accettiamo che gli incentivi regionali per l’acquisto di pochi siano pagati con soldi di tutti? L’impiego del metano nell’autotrazione non è neutro ai fini del bilancio statale, anzi provoca una perdita secca che è addirittura superiore al fatturato. Infatti, poiché le accise sono mediamente il 60% del prezzo di vendita di benzina e di gasolio, lo Stato viene a perdere per ogni chilo di metano più di quanto fattura la rete SNAM. Inevitabilmente, gli altri automobilisti dovranno farsi carico di questa perdita. E chissà perché il “bancomat” è sempre lo stesso.

     
    .
0 replies since 24/12/2012, 08:34   24 views
  Share  
.