La madre ubriaca

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  1. Pamy88
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    La madre ubriaca

    Kappa


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    Non mi sono mai vergognato di quello che ho fatto.
    Non è facile da spiegare e forse non lo è nemmeno da capire, ma se potessi tornare indietro rifarei ogni cosa, esattamente come in passato.
    Mia madre è sempre stata una donna di una bellezza quasi impensabile. Prosperosa e con la faccia malinconica da attrice dei film muti.
    In quel periodo era un po’ depressa e oltre al vizio dell’alcol, che si trascinava dietro da anni, aveva aggiunto quello delle pillole.
    Mio padre l’aveva lasciata quando io ero poco più di un bambino, per via delle sue continue scappatelle con ragazzi più giovani. Lui l’amava ma ad un certo punto arrivò al limite della sopportazione.
    Ebbe altri due fidanzati stabili ed io li sentivo mentre se la scopavano la notte, facendola strillare come un cervo sgozzato.
    Era sola da circa un paio di mesi e aveva iniziato ad aumentare il dosaggio delle pillole per dormire, in concomitanza con le anfetamine per rimanere sveglia. Le capitava spesso di passare la giornata a letto in una sorta di dormiveglia durante la quale farneticava, in un limbo che poi dimenticava il giorno seguente.
    Alcol e pillole non sono un buon palliativo per l’umore se presi assieme.
    Ero stato al bar con un paio di amici e avevamo fumato un po’. Ero abbastanza euforico e quando rientrai in casa e, come al mio solito, diedi un’occhiata in camera di mia madre per vedere se stesse bene.
    Indossava un babydoll bianco che avrebbe fatto rizzare il pisello perfino ad un prete e un paio di mutandine di pizzo in stile pornostar degli anni ottanta.
    Senza accorgermene iniziai a stimolarmi il pene. Era duro come il marmo.
    Il flacone delle pillole era quasi vuoto e la bottiglia di gin, completamente vuota, era adagiata per terra.
    “Sei la fine?” disse.
    “Sono io…”
    “Scopami, fine… scopami.”
    Volevo scoparmela da una vita. Forse ero un pervertito, ma era la pura e semplice verità.
    “Infilami il tuo cazzo.” disse, sfilandosi le mutande.
    Aveva una fica splendida. La stessa fica che quegli uomini squallidi avevano penetrato centinaia di volte, sborrandole dentro e fuori, senza accorgersi della fortuna immensa che avevano avuto. Io ero diverso da loro; ero perfettamente consapevole della perfezione assoluta di quel corpo.
    Era la donna più bella del mondo. Mi avvicinai a lei e mi spogliai nudo.
    La toccai, sfiorandole una caviglia. Aveva la pelle liscia come la seta.
    Lasciai scivolare la mano lungo tutta la gamba, un po’ come se fosse una specie di autostrada del piacere. Quando arrivai alla fica titubai per un attimo.
    Avevo visto la fica di mia madre e le avevo toccato le gambe, ma una volta sfiorata la fica non sarei più potuto tornare indietro.
    Le infilai due dita, penetrando quell’antro cavernoso. Fu come accarezzare il cielo.
    “Ah…”
    Spalancai le sue gambe ed iniziai a leccarle la vagina inumidita. Il suo clitoride sembrava un bottone del piacere e la sua voce orgasmante si propagava nell’aria come musica classica.
    Le strappai il babydoll come avrebbe fatto uno stupratore, ammirando quel seno. I suoi occhi si spalancarono e capii che stava iniziando a capire chi fossi.
    Le tappai la bocca e le infilai dentro il cazzo. Mi aveva riconosciuto. Aveva capito che ero suo figlio, ma il mio membro l’aveva già penetrata.
    La credetti sul punto di gridare, ma non fu così. Sentii la sua lingua leccarmi il palmo della mano, così la liberai dalla mia presa e la bacia.
    “Doveva succedere prima o poi, tesoro.”
    Mi infilò la lingua in gola e iniziammo a fare l’amore lentamente, mano nella mano.
    Le leccai i capezzoli e la sentii gemere, ansimante di piacere.
    I nostri corpi si fusero tra loro come se l’intero universo ci avesse messi lì solo per scopare.
    “Posso venirti dentro?” chiesi.
    “Aspetta.” disse lei, facendomi uscire dalla fica.
    Mi fece distendere e me lo prese in bocca, accogliendo nella sua gola il mio sperma nel miglior orgasmo della storia.
     
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