Comando

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    Comando



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    La vita di Maria era uno scorrere di quotidiana ordinarietà. Il marito andato via dieci anni prima, il figlio oramai cresciuto che aveva preso la sua strada e lei, sola in quella casa oramai diventata un po' grande, fatta di ricordi melanconici. Si era aggrappata al lavoro, i primi tempi senza voler pensare ad altro, certe volte senza neanche il tempo di poterlo fare. Poi, all'improvviso, la solitudine da quel perno accentratore che era stato il suo piccolo Marco, diventato uomo. Le giornate trascorrevano ininterrotte, senza scosse, come il replicarsi continuo del riflettersi in infiniti specchi, azioni ripetitive di un simulacro di vita imprigionato nel tempo. Alzarsi al mattino, prepararsi per fare sempre lo stesso percorso sino al lavoro, gli stessi sorrisi, le stesse chiacchiere, le stesse persone in quella piccola cittadina per poi tornare a casa la sera, stanca e vuota. Aveva avuto qualche relazione, ma nulla di realmente coinvolgente, nulla che la facesse davvero sognare; un cinema, una cena, il rifugiarsi in una camera di albergo che le appariva ogni volta sempre più fredda, per consumare qualche ora di piacere che la lasciava ogni volta sempre più indifferente e con un vago sapore di amaro in bocca. Fu in una sera più particolare delle altre, una in cui questa profonda solitudine la prese più che mai; cercava un libro tra gli scaffali dello studio per trascorrere qualche ora prima di addormentarsi quando notò, come se lo avesse visto per la prima volta, il pc del figlio. Quando abitavano insieme lui vi passava ore ed ore ed adesso era lì, silenzioso come un vecchio televisore rotto. Presa più che altro dal voler fare qualcosa di diverso che per reale curiosità, lo accese. Non era molto pratica, ma aveva visto Marco tante volte ripetere quei gesti, che li aveva assimilatati senza nemmeno rendersene conto. Mise la ricerca su chat e ne scelse una a caso; le istruzioni per registrarsi apparivano man mano sullo schermo e lei le seguì con calma, scrupolosamente, mentre un mondo nuovo e totalmente sconosciuto le si apriva innanzi. Un nick... si fermò un attimo, voleva cercare qualcosa che dicesse qualcosa di lei, non della donna di 43 anni piuttosto piacente, immersa nella solitudine, ma della donna che era dentro, della donna che avrebbe voluto chiudere gli occhi e spiccare il volo: Libellula, ecco si sarebbe chiamata Libellula. Il suo corpo esile ben si prestava e sentiva in sè il piacere di avere delle ali iridescenti che brillavano sotto il sole. Piano piano diventò esperta; ogni sera, come ad un appuntamento irrinunciabile, lei era lì che scherzava, chiacchierava con degli sconosciuti aprendosi man mano: era come aver schiuso una porta su un mondo nuovo. Cominciò da vera esperta a curiosare sul web. Un giorno, mentre chiacchierava, le giunse un pvt, un messaggio privato che solo lei poteva leggere: - Vorrei essere Padrone di questa libellula - La cosa la irritò. Padrone... ma chi si credeva questo? Lo bloccò immediatamente senza rispondere, non senza essere andata -però- a curiosare sul suo profilo. Parlava di schiave, bdsm, ed altre cose. Quelle parole le rimasero a girare per la mente e a fine serata, dopo aver salutato tutti, cominciò a curiosare sul loro significato. Più leggeva e più si scatenava in lei la sete di sapere; si immaginò in quelle situazioni assurde e le fuggì con la mente. A letto il pensiero vagava e la sua fantasia tornava a ciò che aveva letto, ne sentiva il fascino, un qualcosa dentro che la sconvolgeva eppure l'attirava. Si immaginò schiava, obbedire ad un Padrone che si occupasse di lei, che le dicesse cosa fare; tutto questo le creava un senso di piacere e di appagamento, poi si dava della pazza e cercava di rimettersi a dormire. Nei giorni seguenti riprese più volte la sua ricerca; ora non riusciva a fare a meno di appagare la sua sete di sapere, era qualcosa che la divorava dentro ogni giorno di più. Cominciò a frequentare delle chat a tema, leggeva nick roboanti di master, padroni, e iniziò a desiderare di provare quelle sensazioni, di capire quali demoni si agitassero dentro di lei, di comprendere il senso dell'Appartenenza. Tra le varie amicizie che stringeva ve ne fu una che la attraeva in particolare; le piaceva il suo tono pacato e sicuro di porsi, scriveva di quelle cose con la massima semplicità e naturalezza, come se essere schiave fosse la cosa più normale del mondo. Ne fu attratta; gli poneva mille domande, esprimeva i suoi dubbi, le sue paure ed ad ogni cosa vi era una risposta che le schiudeva nuove domande. Aspettava la sera per collegarsi, per trovare Lui che pazientemente la conduceva alla scoperta di se stessa. Si sentiva presa per mano e condotta passo passo a quella conoscenza profonda; cominciò a desiderare al di là delle parole. Aveva letto e parlato del piacere della sottomissione, del sentirsi legata, segnata, premiata e punita, sentì prorompente la voglia di donarsi completamente a quell'uomo che neppure conosceva e nel contempo conosceva più intimamente di qualunque altro, sino a che una sera gli chiese:- Vuoi prendermi come tua schiava? Lasciami provare, ti prego, so che forse non sarò all'altezza ma lasciami provare- Vi fu un attimo di pausa, lei intuì che egli rifletteva, sapeva che non avrebbe accettato se avesse avuto il minimo dubbio sulla sincerità delle sue intenzioni. Va bene, ma sappi che mi Apparterrai totalmente, obbedirai a qualunque cosa io ti dica e se deciderai di andare via non ti sarà permesso di ritornare- Seguirono giorni strani, fatti di ordini certe volte incomprensibili, altri che solleticavano la sua fantasia e la sua sessualità. Vi furono momenti in cui provò una profonda vergogna, altri ove le situazioni in cui Lui la poneva diventavano così eccitanti che non mancava di ritrovarsi spesso con il sesso fradicio sino ad avere orgasmi ovunque si trovasse o ad imparare ad arrivarvi e poi doversi fermare perché così Lui voleva. Imparò ad accettare e comprendere quanto amore, perché in fondo era una forma di amore anche l'essere apostrofata con termini che in bocca ad un altro uomo le sarebbero parsi offensivi. Ella era la Sua cagna, la Sua devota schiava, la Sua ... ed ogni volta che sentiva queste parole sapeva che in esse vi era il rispetto e mai disprezzo. Imparò ad aprirsi completamente, ogni suo pensiero, ogni parte di sè erano un dono che Gli faceva; sentiva la Sua presenza continuamente e sapeva che se ne avesse avuto bisogno bastava scrivergli un sms per avere un consiglio o un ordine su come comportarsi. Prese la sua vita, la sua mente, e gliele pose nelle mani con assoluta fiducia sino al giorno che Egli le comunicò che era pronta. L'avrebbe incontrata. Non dormì quella notte: l'emozione di vederlo, il desiderio di diventare Sua fisicamente, di guardarlo negli occhi e capire quanto fosse realmente Sua, le fecero fare un sogno agitato, pieno di dubbi... e se si fosse sbagliata? La mattina obbedì scrupolosamente a tutto ciò che Egli le aveva detto. Il giorno prima si era depilata ancora una volta il pube, sapeva che Lui non amava che una sua schiava non lo fosse; indossò delle autoreggenti ed una gonna non troppo lunga, si truccò con cura: voleva essere bella per il Suo Padrone. Le aveva dato appuntamento alla stazione, si sarebbero incontrati lì. Le ordinò di essere puntuale ad aspettarlo all'inizio del binario, le comunicò l'orario ed il treno con cui sarebbe arrivato; non aveva bisogno di altro. Lei giunse con mezz'ora di anticipo, guardò con ansia gli annunci dei ritardi e quando apparve sullo schermo il binario vi si precipitò con il cuore in gola. La gente scendeva: troller trascinati, chi correva e chi si incontrava; i suoi occhi cercavano di individuare in quella calca vociferante e caotica Lui che aveva visto solo nella cam. Passarono tutti, solo qualche carrello porta valige sulla lunga pensilina e qualche ferroviere, forse un imprevisto? Il treno era quello indicato. Sentì l'ansia che la prendeva, si domandò se non avesse sbagliato a capire. Poi ad un tratto una voce calda alle spalle:- Buongiorno Maria - Si girò di soprassalto e lo vide; la sovrastava di venti centimetri buoni e la guardava con occhi attenti. Fu come sentirsi trapassare da parte a parte, avrebbe voluto dire qualcosa ma le uscì solo un fievole 'buongiorno'. Si sentiva presa, come se una mano si fosse infilata in lei e le avesse rivoltato l'anima, le viscere, ogni parte di sè esposta senza ritegno, nuda più che lo fosse stata realmente. Lui le sorrise e lei, dopo un attimo di silenzio, gli prese la mano, gliela strappò quasi chinandosi leggermente e la baciò dicendo: -Mio Signore- In quel gesto vi fu tutto; ogni dubbio era passato come un vento che avesse spazzato via le nubi.
    Gradirei fare colazione, andiamo- Così facendo la prese per un braccio, conducendola verso il bar. Al tavolino la osservava in silenzio mentre la vedeva mangiare piuttosto tesa, quasi tremava nell'emozione. Le parlò con calma, la sua voce la accarezzava e lei vi si rifugiava, poi bruscamente disse: -Vogliamo andare?- Era il momento della decisione, lo sapeva che dietro quella domanda e ordine vi era il passaggio di una porta, ne era consapevole ma non esitò un attimo, aveva scelto nel momento esatto in cui lo aveva visto, era il Suo Padrone.




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