Università italiana: i numeri non lasciano speranza

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    Università italiana: i numeri non lasciano speranza




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    In dieci anni perse 65mila matricole, con un calo del 20% dei diplomati che scelgono di continuare gli studi. Colpa della crisi, ma anche dalle scarse prospettive di lavoro che dà la laurea. La contrazione del sistema universitario italiano oltre ad ampliare il divario fra Nord e Sud mina però gravemente il potenziale di crescita del Paese. C’è chi dà la colpa all’aumento delle tasse, all’introduzione del numero chiuso e al taglio dei fondi statali per borse e alloggi, mentre per gli studenti il colpo di grazia è arrivato con la riforma dell’Isee.

    In tutto ciò chi ci guadagna sono gli stati dell’Unione Europea e l’America, dove la fuga di cervelli assorbe tutte i nostri migliori studenti.

    L’università è il motore della crescita economica, sociale e politica per qualsiasi paese. Ma in Italia si è ridotta a poco più di un motorino. L’ultimo rapporto a evidenziare la contrazione complessiva del sistema universitario italiano è quello pubblicato dalla Fondazione Res, l’Istituto di ricerca su economia e società in Sicilia, presieduto da Carlo Trigilia, che nel report annuale si è occupato de “L’Università italiana al Nord e al Sud”. L’istituto mette in risalto i “cambiamenti profondi nella secolare storia del sistema universitario italiano” e i non pochi “elementi di criticità che ne derivano”. “Per la prima volta nella sua storia”, spiegano da Palermo, il sistema universitario nazionale “è diventato significativamente più piccolo”.

    Numeri inquietanti. Gli studenti immatricolati sono crollati del 20 per cento circa (65mila in meno in un decennio) mentre “i docenti passano da poco meno di 63mila a meno di 52mila unità, il personale tecnico amministrativo da 72mila a 59mila, i corsi di studio scendono da 5.634 a 4.628”. E “il Fondo di finanziamento ordinario delle università (FFO) diminuisce, in termini reali, del 22,5%”. Una raffica di dati che assomiglia a un bollettino di guerra e rappresenta, secondo gli esperti, un ostacolo oggettivo per una nazione che vuole continuare a frequentare il club dei paesi più industrializzati della Terra. “L’Italia – si legge nello studio – ha compiuto, nel giro di pochi anni, un disinvestimento molto forte nella sua università”. Una scelta politica, nonostante la crisi, opposta a quella dei maggiori paesi avanzati e in via di sviluppo. In altre parole, sottolineano gli esperti dell’istituto siciliano, “non è certo solo effetto della crisi: in Italia, la riduzione della spesa e del personale universitario è stata molto maggiore che negli altri comparti dell’intervento pubblico”.




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